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NIBS: rischi per gli astronauti e contromisure

RIFLESSIONI SUI VIAGGI INTERSTELLARI

I celeberrimi Elon Musk, Jeff Bezos e Richiard Branson di Virgin Galactic hanno dato inizio all’epoca del turismo spaziale. Pochi giorni fa è partito Yusaku Maezawa, il miliardario giapponese che resterà in orbita per quasi due settimane a bordo della navetta russa MS-20. Non finisce qui, la Gateway Foundation ha in programma di aprire addirittura un albergo di lusso nello spazio entro il 2027, la Voyager Station, interamente costruita dalla Orbital Assembly Corporation, «la prima società di costruzioni spaziali su larga scala al mondo», come lei stessa si definisce. Le gite nello spazio, inizialmente riservate ad astronauti e miliardari, diventeranno (relativamente) presto la normalità. Tutto ciò che abbiamo sempre e solo immaginato, prima o poi sarà all’ordine del giorno, eppure ci sono cose che non tutte le storie di fantascienza raccontano.

L’idea di fare una gita tra i pianeti è incredibilmente allettante, ma un viaggio di questo tipo non può essere intrapreso con leggerezza, richiede una discreta preparazione fisica e psicologica. Nello spazio, il cervello umano subisce cambiamenti funzionali e strutturali dovuti alle variazioni di pressione e gravità, a queste modifiche possono seguire anomalie comportamentali come deficit cognitivi, disturbi del sonno, difficoltà visuo-motorie… Pensiamo inoltre all’ansia, al timore e alla preoccupazione degli astronauti, sono emozioni che nascono anche nelle menti più esperte ed ambiziose, basti pensare allo stupore del cosiddetto Overview Effect: vedere la Terra «dall’esterno» non vi metterebbe un minimo di angoscia esistenziale?

I pericoli del cosmo

Aumentano i viaggi interspaziali e con essi aumentano le preoccupazioni per la salute fisica e mentale degli astronauti. Come sappiamo, gli ambienti extraterrestri sono tutt’altro che ospitali (quantomeno per l’uomo), se lo fossero avremmo dei «vicini di pianeta» con cui prendere il tè delle 5. Per questa ragione il training del cosmonauta è uno step dal quale non si può prescindere prima di intraprendere un viaggio oltre-atmosfera. Il cervello è tra gli organi più suscettibili alle variazioni ambientali, che siano queste prettamente fisiche quali radiazioni cosmiche, campi di gravità inconsueti, ambienti estremi, oppure psicologiche come timori (per la novità, per la lontananza da casa…) e preoccupazioni (per le conseguenze sulla salute, per angosce di vario tipo…).

Quando il cervello subisce una modifica fisica, comportamento e cognizioni ne risentono; allo stesso modo, quando comportamenti e cognizioni si modificano per adattarsi alle situazioni, il cervello muta al livello microscopico. Tali variazioni, causate da agenti fisici o psicologici, possono essere rischiose per il benessere mentale dell’astronauta, ragion per cui è buona norma quella di prepararlo intensamente ed adeguatamente al viaggio. Di sviluppo recente sono le tecniche «NIBS» (Non-Invasive Brain Stimulation) che prevedono l’utilizzo di strumentazioni apposite per agire sul cervello in modo tale da proteggerlo, risanarlo e potenziarlo. La loro validità si sta affermando sulla terraferma ed è sempre più concreta la proposta di utilizzarle come mezzo per la preparazione dei cosmonauti professionisti o dei semplici turisti spaziali del futuro.

Le NIBS funzionano sulla base dei meccanismi di plasticità sinaptica.
Figura 1 – Il cervello è un organo particolarmente sensibile alle modificazioni sistemiche, la sua struttura microanatomica ne risente. Le NIBS sfruttano proprio la sua capacità plastica (Credit foto: sbtlneetPixabay).

NIBS: modifiche plastiche del cervello

Buona parte delle tecniche NIBS agisce sulla plasticità sinaptica. Quando pensiamo, parliamo, saltiamo, corriamo, una lunga serie di reazioni elettrochimiche si innesca a livello del sistema nervoso centrale (SNC) e periferico. I segnali che si muovono all’interno del nostro corpo, viaggiano sotto forma di potenziali di azione (PdA, di natura elettrica) oppure molecole (di natura biochimica). Nello specifico, i neuroni comunicano tra loro per mezzo di sinapsi, attivabili da segnali elettrici o molecolari, che consentono la propagazione del messaggio alle cellule circostanti. Più una sinapsi viene utilizzata, più la probabilità che venga utilizzata in futuro aumenta, al contrario, meno viene utilizzata, meno è probabile che il nostro corpo ne faccia uso in futuro per trasmettere un messaggio.

Quando il cervello «impara», crea associazioni plastiche tra sinapsi come quelle descritte: alcune diventano più forti, altre più deboli, in seguito, tali connessioni vengono tradotte in comportamenti (se un circuito della paura sarà potenziato, ne risulterà un comportamento fobico). Farmaci e psicoterapia agiscono sui meccanismi di plasticità, riequilibrando il sistema laddove questo presenta dei «cortocircuiti». Le NIBS lavorano sulla base dello stesso principio: agendo direttamente sulla segnalazione elettrica, fanno sì che una sinapsi rilasci più o meno neurotrasmettitore (difatti ad un PdA generalmente segue sempre un rilascio molecolare), in questo modo la fortificano o la indeboliscono a piacimento. Ne deriva un possibile utilizzo delle NIBS per potenziare alcune specifiche abilità degli astronauti o per indebolire condizionamenti alla paura che potrebbero crearsi nelle loro menti.

CONSEGUENZE DELL’ESPLORAZIONE SPAZIALE

In ambito accademico la neurofisiologia viene insegnata per come funziona sul nostro pianeta, dove livello di radiazioni, gravità, pressione ed altre variabili sono costanti ed uguali per tutti. Se ci spostassimo nello spazio, tali variabili si modificherebbero a seconda della posizione raggiunta, e con esse si modificherebbe la fisiologia umana. Negli ultimi decenni sono state osservate diverse compromissioni cerebrali dovute alle gite spaziali, tra i deficit più frequenti compaiono quelli della corteccia prefrontale mediale (mPFC) e degli ippocampi, a cui solitamente seguono problematiche comportamentali legate alla memoria.

  • Buona parte dei deficit cognitivi sembra derivare da una riduzione della complessità dendritica e della densità delle spine dovute all’esposizione a flussi di particelle spaziali;
  • La microgravità pare sia associata ad una compromissione del movimento come conseguenza della riorganizzazione plastica delle cortecce motorie. Quando una situazione richiede adattamento da parte dell’uomo, il cervello risponde modificandosi;
  • Lo stress prolungato causato dal vivere in un ambiente Isolated, Confined and Extreme (ICE), può indurre stati d’ansia e depressivi, associati a disturbi del sonno e inappetenza;
  • L’adattamento cognitivo e cerebrale è forzatamente indotto dall’aumento di CO2 nella cabina spaziale.

La NIBS include tecniche in grado di modificare l’attività neuronale per mezzo di campi elettromagnetici, nello specifico, la stimolazione magnetica transcranica (TMS) e la stimolazione elettrica transcranica (TES) potrebbero rappresentare un valido insieme di contromisure per affrontare l’ampia gamma di rischi spaziali identificati dall’Human Research Program (HRP) della NASA. Si sono già dimostrate degne sulla Terra:

  • La sicurezza e l’efficacia della TMS le sono valse il riconoscimento da parte La Food and Drug Administration (FDA) come trattamento di successo per la depressione farmacoresistente, il disturbo ossessivo-compulsivo e le dipendenze;
  • La validità della TES nel potenziamento delle funzioni cognitive è stata più volte confermata. Si è dimostrata efficace nel migliorare la vigilanza, il multitasking, le funzioni linguistiche, la coordinazione visuomotoria, l’acuità visiva e la durata della memoria di lavoro; si è rivelata efficiente anche nel potenziamento di funzioni cognitive superiori come ragionamento astratto, intelligenza fluida e insight.

Che sia arrivato il momento di portarle nello spazio?

Le NIBS potrebbero essere utilizzate per compensare le modifiche microstrutturali indotte dagli ICE
Figura 2 – Le NIBS potranno essere utilizzate per contrastare gli effetti depressivi dovuti all’isolamento prolungato in ambienti ICE (Credit Foto: sergeitokmakovPixabay).

Stressor extraterrestri

Immaginiamoci fluttuare sulla Luna, tra le stelle o su Marte, che esperienza meravigliosa sarebbe! Senza contare la fama che ci porterebbe una missione degna dei migliori film di fantascienza, fare l’astronauta sarebbe grandioso. Purtroppo abbiamo visto che i viaggi interplanetari non sono semplici ed innocui come ci insegna la cinematografia. Ad esempio, pensiamo alle possibili conseguenze microgravità, a partire dalle variazioni idrostatiche, fino ad arrivare alle modificazioni neuroanatomiche e neurofisiologiche. È stato visto che una diminuzione della gravità è associata:

  • Ad un aumento delle frequenze α delle aree parieto-occipitali e sensori-motorie, indice di una diminuzione dell’ossigenazione cerebrale;
  • Ad una diminuzione della connettività tra l’insula, il cervelletto e la corteccia motoria, dovuta ad un’integrazione sensorimotoria più «semplice» (di fatto gli astronauti fluttuano, non compiono movimenti complessi).

Seguono possibili conseguenze motorie quali diminuzione dell’accuratezza dei movimenti, difficoltà somatosensoriali, rallentamenti. Pare che le variazioni idrostatiche dovute alla microgravità siano associate anche allo sviluppo della cosiddetta Spaceflight Associated Neuro-ocular Syndrome (SANS), caratterizzata da perdita dell’acuità visiva e cambiamenti oculari strutturali. Non finisce qui, pensiamo agli effetti delle radiazioni cosmiche: aumento del rischio di sviluppare tumori, riduzione delle abilità motorie, disfunzioni cognitive, attacchi d’ansia, variazioni comportamentali, atrofia cerebrale, invecchiamento precoce, accumulo di β-amiloide (la proteina responsabile dell’Alzheimer).

I terrestri sono protetti dalla magnetosfera, nello spazio viene a mancare questo scudo salvavita. Nella migliore della ipotesi le radiazioni potrebbero trasformarci in supereroi, nella peggiore andare a ridurre l’arborizzazione dendritica che andrebbe a limitare la complessità del signaling neuronale, ne deriverebbero le suddette conseguenze. Concludiamo con gli ambienti ICE: gli astronauti dovrebbero lavorare per mesi, oppure anni, isolati, lontani dalla famiglia, dagli amici, confinati in spazi estremi ed estremamente pericolosi. Irritabilità, apatia, perdita della motivazione, modificazione dei ritmi circadiani, aumento delle quantità di cortisolo, sarebbero solo alcune delle conseguenze possibili.

NIBS: COME UTILIZZARLE PER IL TRAINING DEGLI ASTRONAUTI

Tra le NIBS che si pensa di utilizzare per il training dell’equipaggio abbiamo principalmente la TMS e l’insieme delle tecniche TES. La prima utilizza il principio di Faraday dell’induzione elettromagnetica per generare delle variazioni di corrente a livello dello scalpo cerebrale di interesse. Una corrente iniziale attraversa la bobina della TMS che genera un campo magnetico, il quale a sua volta genera un campo elettrico nel SNC, provocando movimenti di ioni, depolarizzazione cellulare e innesco di potenziali di azione. Tra le tecniche TES rientrano:

  • tDCS: utilizza un catodo ed un anodo (come fossero cavi collegati alla batteria di un’auto) per innescare correnti intracraniche dirette, a cui seguono depolarizzazione di membrana ed effetti plastici;
  • tACS: modula le onde cerebrali per mezzo di correnti alternate ripetute che sintonizzano le oscillazioni corticali sulla frequenza desiderata;
  • tRNS: aumenta e diminuisce l’eccitabilità neuronale a seconda del tipo di stimolazione che utilizza.

In che modo è possibile utilizzare le NIBS per il training dei nostri amici cosmonauti?

NIBS nelle fasi dell’addestramento

In verità il potenziale delle NIBS non si limita alla sola preparazione pre-flight, vedremo come è possibile anche utilizzarle durante il volo oppure nel periodo successivo.

  • Pre-flight training. Prima di salpare verso la volta celeste, gli astronauti svolgono un intenso periodo di preparazione sulla Terra della durata di 2-4 anni. Durante questa fase di addestramento, imparano ad adattarsi alle condizioni spaziali inconsuete e soprattutto a manovrare il cosiddetto Space Station Remote Manipulator Sytem (SSRMS), un braccio robotico frequentemente utilizzato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. La tDCS è stata utilizzata per velocizzare la formazione della memoria procedurale, allo stesso modo la TMS si è dimostrata efficace nell’agevolare il consolidamento degli apprendimenti motori. Nello specifico, la tDCS sembra facilitare la formazione delle rappresentazioni motorie interne: ogni volta che impariamo un compito motorio, ricreiamo una copia mentale dell’azione. Più questa immagine è chiara ed automatica, più il task motorio viene svolto con successo. Le TES pare siano di grande aiuto nel favorire la formazione di tali rappresentazioni;
Le NIBS potranno essere utilizzate per la preparazione dei cosmonauti.
Figura 3 – Le NIBS potranno essere utilizzate prima del volo, durante oppure al termine. Le loro applicazioni saranno molteplici (Credit Foto: WikiImagesPixabay).
  • In-flight. Durante il volo la TMS non può essere utilizzata dagli astronauti per un semplice motivo: è grande ed ingombrante, non è possibile portarla a bordo della navicella. Tuttavia, può essere utilizzata a Terra per trattare i membri del Mission Control Center (MCC), l’insieme degli operatori che osserva con ansia e preoccupazione la missione in corso. Che ne è degli astronauti in volo? Per loro è possibile utilizzare le TES, piccole, comode e portatili, basti pensare che per realizzare una tDCS potenzialmente basterebbero due cavi conduttori e una batteria. Gli scopi per i quali potrebbero essere utilizzate sono molteplici: ridurre le modificazioni corticali legate alla sindrome visiva SANS, mitigare gli effetti della Space Motion Sickness sperimentata dal 70% dei cosmonauti, ridurre la fatica dovuta ai compiti motori per stimolazione diretta della corteccia motoria primaria (M1), prevenire la scarsa collaborazione lavorando sulle funzioni cognitive dell’equipaggio, trattare disturbi ansiosi e depressivi che inevitabilmente colpiscono parte del team.
  • Post-flight. Torniamo a Terra, a questo punto il cervello ha subito delle importanti modificazioni strutturali dovute ai meccanismi di adattamento automatici. Studi sui gemelli hanno dimostrato che buona parte delle conseguenze sono di natura psichiatrica e psicologica dal momento che la neurotrasmissione risente delle variazioni sistemiche (nel nostro caso il sistema cambia radicalmente). Mentre il gemello che restava sulla Terra preservava la propria condizione umorale, quello che partiva per lo spazio tornava con un deficit cognitivo spiegato perlopiù da un fastidioso stato depressivo. Fortuna vuole che al rientro ci fossero ad accoglierlo psicoterapia e psicofarmaci, ma soprattutto la TMS, trattamento d’eccellenza per il recupero post-depressivo.

La vita di un astronauta appare dunque più complicata di quello che sembra. D’altra parte, la scienza avanza giorno dopo giorno, le proposte di ricerca ci danno speranza e i problemi trovano soluzioni efficaci. Siamo pronti per partire verso Marte oppure non è ancora arrivato il nostro momento?

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